Black Tennis Matters

Il tennis delle origini era uno sport elitario, pensato per i ricchi con parecchio tempo a disposizione. Dalla fine dell’Ottocento, il numero dei praticanti ha iniziato a crescere e anche gli afroamericani si sono messi a giocare in un regime di segregazione sportiva: i neri giocavano contro i neri, in club e tornei riservati ai neri. Un tennista nero non aveva alcuna possibilità di misurarsi con i migliori giocatori bianchi.

Bisogna aspettare il 1940 per la storica esibizione al Cosmopolitan Club di Harlem, New York City, tra il nero Jimmie McDaniel e il bianco Don Budge. Giocano su terra battuta, davanti a duemila spettatori. Al termine della partita (vinta 6-1, 6-2) Budge dice che McDaniel è al livello dei dieci migliori giocatori bianchi: «E con un po’ di allenamento contro giocatori come me, forse un giorno potrebbe batterli tutti».

Otto anni più tardi, il dottor Reginald Weir è il primo nero a giocare un torneo indoor organizzato dalla USLTA. La segregazione è finita: sta per arrivare il ciclone Arthur Ashe, primo afroamericano convocato nella squadra statunitense di Coppa Davis e primo nero a vincere un titolo Slam a New York.

Arthur Ashe agli US Open del 1968 – ITHF Museum Collection / Russ Adams

Nell’anno del Black Lives Matter anche il tennis ha fatto i conti con la sua storia. L’International Tennis Hall of Fame ha digitalizzato la mostra Breaking the Barriers, dedicata all’epopea dei tennisti neri dal 1874 a oggi. Online ci sono fotografie, documenti, ritagli di giornale, interviste: è un viaggio nella storia dello sport, delle lotte civili e degli Stati Uniti. La mostra punta i riflettori su personaggi ingiustamente dimenticati, grazie ai quali il tennis è diventato uno sport senza barriere (restano quelle economiche, ma è un discorso che esula dal colore della pelle).

Il movimento Black Lives Matter ha scosso profondamente lo sport americano, a partire dall’Nba, senza risparmiare i tennisti professionisti. Il caso più eclatante è stato quello di Naomi Osaka, pronta a ritirarsi dal torneo di Cincinnati prima che tutte le partite venissero spostate al giorno successivo.

Sono passati i mesi, ma il problema dell’uguaglianza e dei diritti violati resta di stretta attualità. Pochi giorni fa il giovane Frances Tiafoe ha scritto una lettera-manifesto al compianto Arthur Ashe: Tiafoe si rivolge al tennista afroamericano, morto nel 1993, per raccontare la sua storia, quella di un ragazzo figlio di immigrati dalla Sierra Leone che è riuscito a raggiungere i vertici del tennis mondiale.

Frances Tiafoe – Atp Tour

Nel 2020, insieme alla fidanzata, Tiafoe ha registrato un video di protesta contro le violenze della polizia coinvolgendo molti colleghi, da Serena Williams a Coco Gauff, da Gael Monfils a Jo-Wilfried Tsonga. Ora Frances vuole continuare lavorare dalla sua posizione privilegiata perché tutti abbiano gli stessi diritti, una missione non da poco per un ragazzo di 22 anni: i tempi di Reginald Weir e Arthur Ashe sono lontani, ma l’uguaglianza tra bianchi e neri fuori dai campi da tennis resta tutta da conquistare.

I wanted people to know that everybody matters. It does not matter who you are, where you come from or what the color of your skin is. Everybody has the opportunity to be something special. I was one of those kids who did not have a great chance of making it this far. Winning this award is just a reminder that now that I’m here, I need to pay it forward and help the next generation.

Frances Tiafoe

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