Il piccolo Schwartzman

A Roma è stato fermato solo da Djokovic in finale, a Parigi ha lottato come un guerriero contro Thiem salvo poi crollare al cospetto di Nadal. Negli ultimi mesi Diego Schwartzman ha raggiunto risultati che ripagano anni di sudore sul campo e avversità nella vita. Ora il tennista argentino è nella top ten della classifica mondiale, in ottava posizione: mai traguardo fu più meritato.

Il bisnonno e il convoglio miracolato

Se siamo qui a parlare di Schwartzman è per un mezzo miracolo avvenuto il secolo scorso. Diego è nato a Buenos Aires, ma le origini della sua famiglia vanno cercate nel Vecchio Continente, tra la Polonia e la Russia.

«Il mio bisnonno dalla parte di mamma – ha raccontato Diego in un profilo pubblicato sul sito dell’Atp – viveva in Polonia, durante l’Olocausto venne caricato su un treno diretto a un campo di concentramento. La giuntura che collegava due vagoni in qualche modo si ruppe. Un parte del convoglio continuò a viaggiare, l’altra rimase indietro».

Il bisnonno si trovava dalla parte fortunata della storia. «Questo episodio permise a tutti quelli intrappolati dentro il vagone, compreso il mio bisnonno, di scappare per mettersi in salvo. Fortunatamente non venne catturato. Quando ci penso, mi rendo conto di come la vita possa cambiare in un istante».

In seguito il bisnonno portò la famiglia in Argentina: «Quando arrivarono, parlavano solo yiddish, nessuna parola di spagnolo. La famiglia di mio padre era invece originaria della Russia, anche loro arrivarono su una nave in Argentina. Non è stato facile rivoluzionare completamente le loro vite dopo la guerra, eppure ci sono riusciti».

«Non giocherò più a tennis»

Schwartzman è uno dei tennisti più bassi del circuito. I genitori lo hanno battezzato Diego in onore di Maradona, ma gli amici lo hanno sempre chiamato “El Peque”, il piccolo. All’età di 13 anni, un medico annunciò che non avrebbe mai superato i 170 centimetri (la profezia si è avverata): lui tornò a casa e disse ai genitori che non avrebbe più giocato a tennis.

«Mi disse che non avrebbe combinato niente di buono nella vita se quel medico avesse avuto ragione», ricorda la madre Silvana in un’intervista. «Gli dissi che si sbagliava e che la sua altezza non avrebbe dovuto influenzare i suoi sogni, sin dal giorno della sua nascita sapevo che sarebbe diventato qualcuno di speciale. L’ho spinto a continuare a combattere».

Silvana aveva ragione, l’altezza non è un limite: gli argentini Maradona e Messi sono lì a dimostrarlo, anche se nel tennis i centimetri contano certamente di più. Oggi Diego ha imparato la lezione:

Quando entro in campo, non penso a quanto sono alto o a quanto sia più grande il mio avversario. So che c’è una differenza, ma cosa posso farci? Se fossi 10-15 centimetri più alto, forse potrei servire con più potenza o saprei colpire con più forza. Ma la mia altezza non cambierà, non diventerò come Isner o Karlovic. Diversi fattori avrebbero potuto impedirmi di arrivare fin qui, ma non hanno niente a che fare con la mia taglia.

Diego Schwartzman, “Why Height Doesn’t Define Me” (Atptour.com)

Una famiglia sul lastrico

Schwartzman è nato nel 1992. All’epoca la famiglia se la passava benissimo: avevano un’azienda produttrice di vestiti e gioielli, una casa in Uruguay per le vacanze, un’abitazione nel centro di Buenos Aires e una fuori città, diverse automobili. Una pacchia, insomma.

Poi arrivò la crisi. «La mia famiglia ha perso tutto. Negli anni novanta – ricorda Diego – il governo argentino tagliò le importazioni: mio padre continuò a investire per cercare di ottenere le materie prime dall’estero, ma non c’era alcuna possibilità e le cose andarono sempre peggio. Era terribile. Mia madre cercò di importare dalla Cina i tessuti per realizzare i vestiti, ma non c’era modo di farli recapitare da noi».

Tirare la fine del mese per una famiglia di sei persone, due genitori e quattro figli, non è facile. Diego iniziò a giocare a calcio, lo sport più economico, con qualche puntata sui campi da tennis: «Giocavo il più possibile, ma era difficile perché non avevamo molti soldi. Se i campi erano pieni, giocavo nel corridoio con mio padre. Abbiamo sempre usato racchette da adulto, non mi sono mai piaciute quelle da bambino».

Da ragazzo Schwartzman girava i tornei insieme alla madre, dormivano nello stesso letto in hotel di bassa categoria. «A un certo punto abbiamo iniziato a vendere i braccialetti di gomma che ci erano rimasti dalla vecchia attività familiare. Facevamo qualsiasi cosa per recuperare i soldi necessari per poter viaggiare e giocare. Aiutavo mia madre a vendere i braccialetti, altri giocatori ci aiutavano: tra una partita e l’altra, andavamo in giro con una borsa di braccialetti per vedere chi ne avrebbe venduti di più, mia mamma ci dava il 20 per cento dei guadagni. Era come competere in due ambiti distinti: il tennis e la vendita di braccialetti».

Il piccolo Diego è diventato grande

Diego dopo la finale persa nel master 1000 di Roma, settembre 2020 (foto Facebook – Diego Schwartzman)

Schwartzman ha vinto tre titoli Atp e ha giocato sei finali, ha guadagnato complessivamente più di otto milioni di dollari. Lunedì entrerà per la prima volta nell’Olimpo dei dieci migliori tennisti del pianeta: “El Peque” è diventato grande.

Non importa che cosa ho dovuto affrontare, ho sempre lavorato duro e credo che andare avanti fra le avversità mi abbia reso un giocatore e perfino un uomo migliore. Se ce l’ho fatta io, potete farcela anche voi. Credete in voi stessi, date tutto quello avete e un giorno – anche se siete alti 170 centimetri – potrete realizzare i vostri sogni.

Diego Schwartzman, “Why Height Doesn’t Define Me” (Atptour.com)

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